Percussioni n°129 - Maggio 2002

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Metalanguage Unit - Ovvero dell’idear tamburi

 

di Luigi Radassao

 

    

Secondo appuntamento con Alessio Riccio, dopo la chiacchierata apparsa sul n° 113 (Dicembre 2000) - [qui]. Qui il protagonista principale diventa lo strumento musicale, perché Alessio non suona “semplicemente” una batteria, ma uno strumento a percussione che lui stesso ha quasi completamente costruito, assemblato e “rifondato” dalle radici. Radici che mantengono (o riscoprono) le proprie nervature profonde nel sostrato antropologico che denota la percussione in sé, nel ruolo ancestrale che la “pelle percossa” incarna, dall’alba dell’umanità, in quelle antichissime culture dove il tamburo è oggetto parlante, tramite di verità divina. Ma radici che riattecchiscono ora in un contesto sociale e culturale completamente differente, desacralizzato, ma non per questo privato di valori simbolici, ed anzi sintomo (e latore) di una sensibilità - quella di Alessio - che porta con sé consapevolezze nuove e che alla luce di queste ha riformulato le antiche.


    D - Quali sono state le fasi principali della lavorazione che ti ha portato alla creazione di The Metalanguage Unit? Avevi in mente un suono, un timbro complessivo, o piuttosto uno strumento attraverso il quale poter cercare qualche cosa che ancora non ti era ancora completamente chiara?

    R - Nei Sonetti A Orfeo Rielke scrive che “senza conoscere il luogo destinato un legame reale ci fa agire”. The Metalanguage Unit (TMU) si è manifestata attraverso la visione e come tutte le visioni non può essere spiegata a parole: scaturisce dal profondo della mia essenza, direttamente dalla mia natura originale. Ho vissuto la sua messa in opera come una vera e propria rivoluzione, un processo liberatorio, una rinascita, ed attraverso la sua creazione sono passati riflessioni, rifiuti e cambiamenti. Il lungo processo che si è frapposto fra l’inaspettata visualizzazione e la concretizzazione è stato uno dei momenti più importanti della mia vita di musicista: la fase del significato, del senso, inteso non come reperimento di un significato stesso, ma come apertura dell’orizzonte della significatività. In TMU il senso risolve nell’operazione come forma di conoscenza attiva: azione come percezione, immaginazione, creazione di tecniche, elaborazione concettuale, come condizione essenziale per la costruzione di un mondo umano sia interno che esterno.

    D - Quando parli di “visualizzazione” ti riferisci ad una forma di “psicologia” non-speculativa?

    R - Probabilmente si: TMU fa parte della porzione nascosta della mia conoscenza, del sapere che portavo dentro di me, opera che procede non dall’esterno, ma dall’interiorità ed una volta creata risponde alle sue leggi secondo il principio della necessità interiore. E’ luogo di un sapere del molteplice e del possibile, un sapere della metamorfosi, luogo da cui sempre siamo, luogo della possibilità inaudita, dell’infinitamente aperto in cui troviamo, finalmente, dimora.

    D - Utilizzi molti tamburi e percussioni in metallo non “di serie”. Quali sono gli accorgimenti che hai usato per personalizzarli?

    R - Non credo che gli accorgimenti siano particolarmente importanti: le soluzioni meccaniche non hanno mai costituito problema, grazie anche all’insostituibile aiuto di Massimo Conti, il technical designer della scultura sonora. E’ stato lo strumento stesso a guidarmi, materia sonora non a disposizione dei capricci, che conduce verso una bellezza imprevista, servitore di quell’intenzione creativa lungi dall’essere manipolabile, Senza sovrastrutture da rispettare è stata una sorta di improvvisazione libera trasposta sul piano costruttivo ed ha quindi conservato tutte le caratteristiche dell’improvvisazione musicale, libera ma consapevole, senza limiti ma focalizzata secondo un equilibrio psichico, filosofico e artistico ben preciso.

    D - Oltre ai numerosi prototipi, TMU contiene anche strumenti a percussione “normali” che tuttavia, di solito, non risiedono nell’equipaggiamento standard dei batteristi. Il numero complessivo dei pezzi è piuttosto significativo: è a questa tentacolarità omnicomprensiva che hai pensato quando hai battezzato il tuo set “unità di metalinguaggio”?

    R -  TMU è un esperimento, un principio di verità: non è luogo che mi ospita, ma progetto per la costruzione del mio mondo attraverso cui elaboro la musica rendendola fruibile. Al suo interno suonare è una forma di preghiera che trasfigura il vissuto in un atto liberatorio: un temenos, tappeto di qualsiasi preghiera, anche quella senza un dio. Il nome vuole essere un po’ metafora della mia poetica musicale: lasciare alla musica il tempo di materializzarsi naturalmente, di emergere dall’oceano dell’inconscio in maniera spontanea, senza forzature, a fronte di anni di studio e di riflessioni, in una dimensione di dedizione pressoché totale.

    D - TMU contiene addirittura undici pedali, alcuni dei quali da te ideati e costruiti. Il corretto e funzionale utilizzo di un simile apparato pone degli evidenti problemi di ergonomia. Come li hai risolti?

    R - Li sto ancora studiando, senza porre limiti all’analisi dei movimenti. Quando lo strumento aumenta quantitativamente al punto da rendersi disponibile per la realizzazione di qualsiasi fine, la cresciuta disponibilità dei mezzi tecnici dispiega il ventaglio di qualsivoglia fine. TMU permette questa mutazione, esprime una forza mostruosa: su una struttura così imponente concetti quali dominio o controllo sono assolutamente fuori luogo, ne uscirei distrutto. Ne nasce invece una forma di collaborazione attiva, di compartecipazione di forze, in direzione di un’apertura che non ha in vista tanto il raggiungimento di un risultato quanto il capovolgimento dell’uso abituale dell’esperienza. Inoltre si è resa necessaria la costruzione di tecniche, e battenti specifici, assolutamente unici, tesi a una radicale revisione del concetto di batteria: sto scrivendo un libro al riguardo… Ci vorrà un po’ di tempo… TMU è la connessione del molteplice kantiana, spazio diabolico, espressione di intrinseca inquietudine in continuo divenire, luogo in cui il conflitto regna sovrano e che non consente riposo o rifugio alcuno: è quindi congedo dalla tradizione, frutto del tempo progettuale che riflette il tempo dell’uomo che non guarda il passato ma il futuro, ed un futuro non lontano, l’immediato futuro che si tiene in stretta relazione con il passato.

    D - In qualche modo, quindi, si potrebbe dire che la teoria sia sorta dopo. Si tratta di un lavoro sostanziale, fisico e sensitivo, ancorché concettuale: l’impressione è che la parte costruttiva sia venuta prima della codifica teorica. Una pars construens naturalmente anteposta alla pars detruens. ma, inoltre, una pars construens che, costruendo, ha anche distrutto (o per lo meno incrinato) alcune certezze: mi riferisco al bagaglio tecnico dello strumentista…

    R - La concettualizzazione riferita a TMU è proceduta a braccetto con la realizzazione pratica. All’inizio era presente soltanto il bisogno irrefrenabile di mutare la configurazione strumentale seguendo l’istinto. A ciò ha fatto eco una progressiva presa di coscienza filosofica e, appunto, concettuale: riflessioni applicate al processo di crescita artistica che prendeva forma attraverso la costruzione meccanica della scultura sonora stessa. Quando TMU è “nata” si è reso poi necessario un lungo periodo di conoscenza reciproca poiché, se da un lato era parte di me, dall’altro ribaltava tutte le mie conoscenze batteristiche, distruggeva le mie certezze, sconvolgeva i miei equilibri legati alla conoscenza fisica dello strumento. Ma d’altro canto, nel momento in cui l’esigenza di approfondire il rapporto con il mio strumento, attraverso un rapporto di “distruzione-ricostruzione”, si è fatta inarrestabile, allora è stato pure inevitabile lavorare a fondo per ricreare la spontaneità dei movimenti che si rendono necessari per l’espressione artistica. L’aver letteralmente ricostruito la meccanicità del legame musicista-strumento mi ha portato all’acquisizione di una nuova e più forte consapevolezza e mi ha guidato verso la scoperta della mia autenticità di musicista.

    D - All’interno di questo enorme strumento pulsa un cuore elettronico. Ne è l’anima vitale, inscindibile, inalienabile. E’ il luogo del rigore, della chiarezza, della scansione analitica, contrapposto e al tempo stesso complementare all'elemento acustico descritto sino ad ora, luogo, invece, del rischio, dell’abbandono, della sintesi. Cosa ci puoi dire al riguardo?

R - L’elettronica occupa un ruolo fondamentale all’interno di TMU: la necessità di impiegarla come elemento portante del mio linguaggio è scaturita spontaneamente nel momento in cui ha preso forma nella mia mente la visione della scultura sonora. Non l’ho deciso a tavolino. E’ stato estremamente naturale: la porzione di elettronica che impiego fa parte dello strumento stesso, è assolutamente inscindibile da esso. Non è stata “integrata”, ma è invece uno degli elementi che lo formano, contribuendo in maniera determinante a dar forma ai suoni che avevo dentro di me e che non avrebbero potuto trovare vita passando soltanto attraverso la dimensione puramente acustica dello strumento.